Nives Meroi, sicuramente la più forte

Abbiamo spesso sentito parlare del famoso stile alpino, utilizzato dai primi salitori agli albori dell’alpinismo mondiale e sdoganato dal giovane Hermann Buhl. Se dovessi scegliere una figura di spicco nel settore, a simbolo di questo modo di andare in montagna, non avrei dubbi. Sarebbe donna e sarebbe la fortissima Nives Meroi, prima donna italiana sul Nanga Parbat e una delle pochissime donne ad aver scalato tutti i quattordici Ottomila della Terra senza ossigeno e senza portatori.

Di lei parla lo scrittore Erri De Luca nello splendido “Sulla traccia di Nives” (2005 Mondadori, Ean 9788807887352) dove, conversando con l’autore, Nives racconta la sua esperienza a tutto campo: “L’alpinismo di alta quota è ancora maschile. Quando qualcuna di noi riuscirà a ripetere il circuito degli ottomila avremo tolto al genere maschile l’ultimo club privato. Da quel momento l’alpinismo sarà diverso come lo è stato il giorno in cui il primo sherpa scalò l’Everest con Hillary. Non dico che sto scalando gli ottomila in nome delle donne. Scalo per me, per la mia fame di montagne. Sono solo un’alpinista, però con l’apostrofo […] Quell’apostrofo è la mia bandierina di donna che faccio sventolare lassù. Quando arrivo in cima […] io so di provare qualcosa che nessun maschio può. […] Lassù io sono la montagna, sono Nives la pietra, Nives la neve, sono madre natura che visita l’ultimo gradino sotto il cielo. […] Lassù so che il mondo è di genere femminile, è forza, luce, aria. Perciò sono l’apostrofo davanti al nome di alpinista. Per i maschi una cima è un desiderio esaudito, per me è il punto di congiunzione con tutto il femminile di natura”.

Il curriculum di Nives Meroi, bergamasca classe 1961, è decisamente impressionante. Accompagnata dal marito Romano Benet, friulano di genitori sloveni, suo compagno di cordata fisso, effettuò nel 1987 la prima invernale al Pilastro Piussi alla parete nord del Piccolo Mangart di Coritenza e quella alla Cengia degli Dei, sullo Jof Fuart (entrambi sulle Alpi Giulie). Successivamente, già dai primi anni novanta si dedicò all’himalaismo dove si approcciò al versante settentrionale del K2 (1994) e completò nel giro di venti giorni (2003) la salita di tre ottomila (Gasherbrum I, Gasherbrum II e Broad Peak).

Il K2 lo salì con successo nel 2006 superando lo Sperone Abruzzi mentre nel 2008 tentò, senza riuscire, l’assalto al Makalu. Pochi mesi dopo, sempre nel 2008 conquistò invece il Manaslu. A forza di tentativi, dimostrando una tenacia fuori dal comune, Nives piano piano conquistò quasi tutte le vette sul tetto del mondo. Nonostante una brutta malattia, che costrinse Benet ad una lunga e forzata convalescenza e l’annuncio nel 2009 del ritiro di Nives dalla competizione per arrivare ad essere la prima donna a completare la scalata di tutti gli ottomila della Terra, la coppia tornò sull’Himalaya e proseguì nel perseguimento dell’obiettivo tentando nel 2012 il Kangchenjunga (conquistandolo nel 2014).

Nel 2016 salirono finalmente il Makalu ed esattamente un anno dopo, l’11 Maggio 2017 arrivarono in vetta all’Annapurna concludendo la collezione. Oggi, a cinquantotto anni, Nives continua a praticare l’alpinismo e non disdegna ancora di tornare nel Karakorum ma per lo più si dedica alle montagne di casa. Intraprende la carriera di scrittrice e conferenziera raccontando di viaggi ed imprese che hanno caratterizzato la propria vita. E fra le imprese memorabili è impossibile non ricordare che il periodo della malattia del marito è stato vissuto da lei come la scalata più difficile della vita, il “quindicesimo ottomila” affrontata con una forza d’animo incredibile che lei stessa rivela nel libro autobiografico “Non ti farò aspettare” (2016, Rizzoli, Ean 9788817088190). Qual è la ricetta di questa donna fortissima, sicuramente la più forte alpinista di tutti i tempi? Se glielo chiedete lei vi risponde così: “Io non cerco mai di scavalcare i miei limiti, ma di avvicinarmici e di cercare di far sì che non siano un muro da sfondare, ma un varco da aprire”.

Marco Vallari

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