Marina Zambelli, l’isolamento a Cologno
Ad Alzano Lombardo è soltanto nata, ma quella – senza confini ristretti alla carta d’identità – è comunque la sua terra: Zogno, dove vive la sua famiglia, Cologno al Serio, dove vive lei con il marito e il cane Woody, piccoli paesini tra Val Seriana e Val Brembana, che il mondo sta conoscendo per il verso sbagliato, per notizie di morte e malattia. Lei è Marina Zambelli e a Casalmaggiore l’abbiamo apprezzata nella scorsa stagione con la maglia E’ Più Pomì: terza centrale, poche presenze, ma mai una parola fuori posto e sempre grande professionalità. Oggi l’atleta classe 1990 gioca a Cuneo, sempre in A1, ma non vedeva l’ora di tornare a casa.
“La società ha preso tempo, giustamente, per capire l’evoluzione della stagione agonistica – spiega -. Quando si è saputo che difficilmente saremmo tornate in campo, ha dato il via libera. Io da dodici giorni aspettavo il nulla osta per rincasare. Qualcuno mi diceva: “Sei matta? Sta a Cuneo, che a Bergamo la situazione è peggiore e vai a rischiare”. Io però volevo tornare, volevo stare dove ci sono i miei affetti: anche se non sono un medico, sento che essere più vicina a casa fisicamente è un modo per aiutare la mia gente, anche se non ho purtroppo vaccini né superpoteri”.
Val Seriana e Val Brembana, le valli gemelle, stanno pagando un dazio altissimo al Coronavirus e, assieme a Cremona, sono una delle zone più colpite. La provincia di Bergamo registra, stando al dato di sabato mattina, 8060 contagi e 1617 decessi. Alzano Lombardo, addirittura, detiene il triste record di comune col maggior numero di contagi e di morti al mondo, in percentuale e in rapporto con la popolazione. E da lì, dalla casa di riposo locale, è partito uno dei focolai. “E’ sempre una questione di percezione – spiega Marina – e qui parlo con cognizione di causa. Quando vedo che nel Centro o Sud Italia c’è ancora gente che va in giro, mi rendo conto che queste persone sono nella nostra stessa situazione di fine febbraio, quando ancora non avevamo cognizione del fenomeno e non ne avevamo scoperto, dunque, la gravità. Ho vissuto questa discrepanza di percezione nel mio piccolo orizzonte: a Cuneo nello spogliatoio non si comprendeva fino in fondo quanto picchiasse forte il Coronavirus e io, da bergamasca, ho avuto modo di saperne di più prima delle mie compagne. Chiamando a casa, venivo messa al corrente delle misure prese dai vari comuni, spesso in autonomia, con le ordinanze che, ad esempio, chiudevano i parchi pubblici. Poi sono arrivati i malati e i morti: io non ho avuto lutti in famiglia e continuo a videochiamare i miei, per non metterli in pericolo. Ma nei volti che vedo sui necrologi dei giornali locali – che sono passati da 2-3 pagine canoniche a 9-10 fogli pieni – rivedo qualche vicino di casa di quando ero bambina, o amici dei miei famigliari. E’ dura: quando ho visto la foto che sta facendo il giro del mondo dei mezzi militari che portano via le bare dall’ospedale di Bergamo, una lacrima di commozione e tristezza è scesa”.
Lo sport in questo momento è l’ultimo dei problemi. Cesare Prandelli, ex ct della Nazionale Italiana di calcio, ha detto alla Gazzetta dello Sport che fermarsi è doveroso, perché dobbiamo dare tempo alla gente di voler tornare a gioire in tribuna o in curva, e adesso questo – dopo tanti lutti – non è né possibile né immediato. “Ha ragione. Personalmente non mi sono nemmeno posta il problema: quello che voglio dire è che, se si tornasse a giocare, sarebbe comunque una stagione diversa e falsata: prima di tutto perché cambierebbe il regolamento rispetto a quello iniziale; in secondo luogo perché – al netto delle condizioni psicologiche durissime nelle quali si riprenderebbe, sia in campo sia sugli spalti – dovremmo rifare completamente la preparazione: e una preparazione atletica rifatta ad aprile-maggio non esiste”.
Come passa la sua giornata Marina? “Per fortuna ho un piccolo giardino con qualche attrezzo e lì mi alleno senza uscire di casa, poi per il resto ho la passione dei puzzle. Prendo più tempo per me stessa e la mia famiglia: restare in casa non è come andare in miniera, se una ha voglia di stare alle regole, non è un grande sforzo, in fondo. E due videochiamate al giorno a casa non mancano mai: oltre a quella con zia Franchina, 88 anni, non esce mai di casa ed è molto brava in questo, con mia mamma che limita i contatti al massimo, portandole però le medicine. Non appena finirà l’emergenza abbraccerò fortissimo la zia. Sono legata a lei così come a mio nonno, che vive a Milano. E sento sempre entrambi: la tecnologia aiuta, è una vicinanza diversa, ma è ciò che ci viene concesso in queste settimane tremende. Non uscire di casa è un gesto civico doveroso verso gli anziani: non dobbiamo più ragionare partendo dall’io ma dal noi. Preciso che le videochiamate le ho sempre fatte, anche da Cuneo, e da quando sono tornata – con regolare permesso della società – mi costerebbe pochissimo passare per un saluto ogni tanto. Invece continuo a videochiamare, perché io sono giovane, in salute, probabilmente il Coronavirus mi farebbe poco, ma se poi lo portassi in casa di mia mamma, dei miei fratelli, di zia Franchina o di mio nonno, cosa rischierebbero loro? Ecco, dobbiamo partire da questa domanda e dunque capire questo concetto. E’ essenziale: prima lo facciamo, prima ne usciremo”.
Cosa manca di più a Marina della vita di prima? “Oltre alla pallavolo, direi i pranzi in famiglia e le passeggiate nei boschi delle mie valli. E infatti, appena tutto questo passerà, saranno i primi due sfizi che mi toglierò. E al pranzo inviterò tutte le persone che mi stanno a cuore”.
Giovanni Gardani