Manolo l’anticonformista, lezioni di vita
Procedeva silenzioso davanti a me, schivo e riservato, tranquillo ed imperturbabile. Mi sentivo in soggezione mentre salivamo per roccette e giungere all’attacco della via. L’instabilità del meteo ci suggerì di progredire in conserva e, come rapidamente guadagnammo quota, altrettanto rapidamente raggiungemmo la meta.
Durante la sosta stavo seduto di fronte al bivacco delle Fiamme Gialle sgranocchiando un pezzo di cioccolato. Gliene offrii un po’ ma Manolo rifiutò cortesemente. Però iniziammo a parlare rompendo così il ghiaccio e decidemmo di scendere alla svelta al Pedrotti evitando così il maltempo. All’epoca nella Val dei Cantoni c’era ancora un discreto nevaio e lui suggerì di scivolare giù con la tecnica del telemark utilizzando la punta degli scarponi come freno. Lo guardai scendere più che sicuro, come fosse la cosa più naturale del mondo e lo imitai, non senza qualche timore (e qualche sonora culata). Il resto del rientro lo trascorremmo chiacchierando serenamente ed abbondantemente.
Mi diede consigli, raccontò aneddoti, ricordò alcune storie che ho potuto rileggere di recente nel suo libro autobiografico “Eravamo immortali” (2018 Fabbri editori, ISBN 8891517577). In poco tempo la soggezione svanì, la riservatezza si allentò e si rivelò essere un ottimo amico e compagno.
Dal canto mio, credevo di arrampicare con un mostro sacro e mi vergognavo delle mie scarse capacità nonostante avessi all’epoca nel curriculum qualche discreto 7a tra Totoga e Val Noana. Rotto il ghiaccio si aprì anche lui e scherzò parecchio soprattutto quando, dopo un paio di grappe buttate giù a rigore mi feci letteralmente di corsa il breve tratto in salita verso la stazione di monte della Funivia Rosetta.
Leggendo il libro ho anche scoperto che numerose vie percorse con vari amici le aveva liberate proprio lui. La sua vita in ogni caso è decisamente molto più intensa ed interessante di come avevo immaginato, quella che definirei la vita di un “uomo delle montagne” e non un semplice sportivo. Il testo si legge tutto d’un fiato: ci sono avventure incredibili come un rocambolesco viaggio in Afghanistan ed una sfortunata spedizione himalayana al Manaslu (8163 m.s.l.m.).
Ci sono i turbolenti anni settanta, quelli delle Formiche Rosse, i ribelli delle pareti che da Piazza Isola di Feltre, dove si teneva un’occupazione giovanile permanente, giungevano nel Primiero per praticare l’alpinismo anticonformista che li avrebbe caratterizzati e che avrebbe comunque permesso l’apertura di nuove e difficili vie sulle Pale di San Martino.
Ci sono gli anni francesi con la scoperta delle pareti del Verdon insieme a pezzi da novanta come Patrick Berhault e Patrick Edlinger, le disavventure durante il lavoro di rocciatori tra Sardegna, Sicilia e Calabria e molto altro ancora. Scorrendo le pagine del volume c’è ovviamente tantissimo alpinismo ma ci sono anche storie di vita, non solo quella di Manolo ma anche quelle dei vari compagni di cordata, ricordati con aneddoti divertenti (con Bob non si arrivava quasi mai all’attacco perché l’ultimo bar era sempre fatale) o con malinconici ma affettuosi ritratti dedicati agli scomparsi. L’aspetto più interessante forse è il periodo dell’infanzia, raccontato attraverso il non semplice rapporto con la mamma, vissuto in un’epoca che oggi non c’è più e che i giovani d’oggi non conoscono e sicuramente non riuscirebbero nemmeno ad immaginare.
Un’epoca che presentava molte più difficoltà per un bambino o adolescente che si affacciava alla vita nella lotta quotidiana contro la povertà e la fame. Manolo era indubbiamente un ragazzo difficile, oggi si potrebbe definire “caratteriale” ma questa sua irruenza, la tendenza ad andare contro le regole e contro tutto e tutti con l’innata propensione per cacciarsi nei guai ha trovato una valvola di sfogo proprio nell’alpinismo che lo ha probabilmente salvato da un’esistenza molto complicata.
Esattamente vent’anni fa, sul Cimon della Pala, fui suo compagno di cordata. Non facemmo nessuna impresa particolarmente eccezionale ma imparai da guardare le montagne da una differente prospettiva ed i consigli ed i suggerimenti che ricavai dal Mago li sfruttai in tutte le esperienze successive. Li porto sempre nel cuore e ancora oggi quando scruto le pareti a strapiombo che mi sovrastano percorrendo il “deserto dei tartari” che è l’altopiano delle Pale cui si è ispirato Dino Buzzati per la stesura della sua opera più celebre, cerco di immaginare quale sia il punto migliore dove iniziare la salita. E incito i miei figli ad alzare lo sguardo con me mentre tenendoli per mano li conduco attraverso la vita.
Marco Vallari