L’INDOMABILE JOHN

(la foto è presa dalla pagina ufficiale Facebook dell’artista)

di Dario “Blues Man” Gozzi

17 luglio, Lucca città le cui proprietà architettoniche e di lungimiranza abbiamo già decantato in precedenza dove ancora una volta si è compiuto il rito del concerto rock. Quello vero. Quale migliore rappresentante della categoria, se non il monumento ancora ben attivo e ruggente come il settantanovenne JOHN FOGERTY, il leader (e mai come in questo caso il vocabolo è più appropriato) dei CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL che a cavallo dei 60 e70 dominavano le classifiche alla faccia dei colleghi più appariscenti e votati alla psichedelia sulla cresta delle onde del Pacifico che lambiva le spiagge californiane.

Erano i tempi del flower power con epicentro San Francisco, crogiuolo creativo di una controcultura (come si diceva ai tempi) con l’aggiunta dell’illusorio sogno di pace e amore, che vediamo bene come oggi si sia realizzato. Masters of war. Ma i Creedence erano di Los Angeles metropoli ben più smaliziata ed avvezza ad un diverso stile di trasgressione, tra stars hollywoodiane e bands ingestibili, primi fra tutti i DOORS del re lucertola. John (inizialmente anche il fratello Tom era al suo fianco,poi andantosene perché evidentemente in secondo piano, destino comune ad altri consanguinei meno dotati) con Doug Clifford e Stu Cook alla sezione ritmica era indiscutibilmente il deus ex machina dei Creedence che in pochi anni sfornarono albums leggendari dal sound immediatamente riconoscibile per la voce negroide e dai riffs sintetici e rockeggianti poi assurti all’immortalità.

L’ottuagenario sempre tonico si è presentato per l’unica data italiana con una family band composta da figliolanza ben istruita e comprimari inevitabilmente più che motivati essendo gli accompagnatori al cospetto di un fondamentale compositore che come nessun altro ha mixato tutto gli ingredienti del american music. La successiva carriera solista non ha mai mancato il bersaglio. Non è il caso di enumerare lo stuolo delle canzoni memorabili eseguite al concerto, molte delle quali poi reinterpretate dai pesi massimi del rock e del soul come “Proud Mary” e “Have you ever…” o “Fortunate son” contro la guerra in Vietnam e un opposizione senza tanti complimenti sottolineando il fatto che i ricchi non ci andavano di certo, dimostrando che non erano (come può sembrare) dei campagnoli menefreghisti. La cosa che mi ha più stupito, più che l’esibizione, perché John non sbaglia mai, è stata l’inaspettata presenza giovanile, con una buona metà degli spettatori costituita da donne, che cantavano rapite i testi di un ragionevolmente più che soddisfatto John.

La sensazione è stata che, un modo di pensare e una migliore visione del mondo stiano combattendo con musica ben suonata e ragionata le ultime battaglie. Tutto ciò verrà sopraffatto dalla belluina ignoranza oggi al potere (come non smentire le nostre inclinazioni) da un opportunismo privo di un qualsiasi senso che non sia l’esibizione della propria inutilità? Forse. Vedremo.

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