John Mayall, io no che non mi arrendo!
E’ calato in Italia per l’ennesima volta, quest’ultima a Parma, l’ottantacinquenne leggenda vivente John Mayall,storico padrino del blues inglese- che contribuì a diffondere anche presso il pubblico bianco statunitense- ostinato portavoce (e strumenti) della musica del diavolo, fin dall’inizio dei-60 del secolo scorso. Nelle varie incarnazioni dei suoiBLUESBREAKERS si sono succeduti i migliori chitarristi di blues elettrico; solo per citarne tre: Eric Clapton, già mitizzato a quei tempi che andrà poi a formare il primo supergruppo del rock i Cream con Jack Bruce e Ginger Baker, un ispiratissimo giovane Mick Taylor (in seguito reclutato nei Rolling Stones) e il visionario Peter Green leader dei primi Fleetwood Mc. Anche l’ultimo album di Mayall (di un centinaio pubblicati!) “Nobody told me” dal quale ha eseguito alcuni brani, intervallati da classici pescati in un repertorio sterminato è impreziosito dalla partecipazione di un manipolo di virtuosi solisti alla sei corde che hanno entusiasticamente risposto all’appello. Questo arzillo vecchietto dal timbro nasale si sciroppa in giro per il mondo più di 100 concerti all’anno e, prima e dopo lo show, si piazza nel banchetto all’entrata del locale a vendere e firmare i suoi cd. Un paio di anni fa a Mantova, in un teatro Sociale assediato dalle cimici, Mayall aveva inscenato una gag sul palco per liberarsi degli insetti che (forse seguendo il tempo) gli saltellavano sul pianoforte. In quell’occasione si era presentato senza chitarrista e accompagnato solo dagli scafati Greg Rzab al basso e Jay Davenport alla batteria. E John, forte di sessant’anni di carriera si era sobbarcato l’onere di imbracciare anche la chitarra, con la quale non eccelle, oltre ad occuparsi di tastiere, armonica e voce.
L’ultimo concerto parmigiano ha visto al contrario oltre alla sopracitata sezione ritmica, il sacrosanto reinserimento del chitarrista, ruolo affidato ad una rossocrinita ragazza texana Carolyn Wonderland (che abbia una sorella di nome Alice?) che seppur con qualche intoppo causato da una imperfetta resa acustica, se l’è sbrigata più che onorevolmente, consapevole di non potersi mettere in competizione con i mostri sacri che l’hanno preceduta.
L’alternarsi di vecchi traditionals e brani autografi ne hanno confermato la statura di incrollabile ambasciatore del blues. Ancora un a volta un’esibizione che dimostra la perseveranza di chi, conscio dei sacrifici e degli aspetti non sempre idilliaci, ha dedicato un’esistenza alla musica e che, non le mode passeggere o l’anagrafe determinano un artista. Di certo non come la miriade di “nuovi talenti” che cercano una fama immediata autoproclamandosi fenomeni e si affidano ad un opinabile immagine esibendosi in sproloqui squallidi. Cari sbraccianti sentenziatori del nulla, non basta atteggiarsi, bisogna essere. Per continuare questo discorso esulando dall’ambito strettamente musicale per divagare in un contesto più di carattere sociologico, vorrei proporre una considerazione di Milan Kundera che mi sembra condivisibile: “Data la necessità imperativa di piacere e di ottenere così l’attenzione del maggior numero di persone, l’estetica dei mas-media è inevitabilmente quella del kitsch; e a mano a mano che i mas-media avvolgono e infiltrano tutta la nostra vita, il kitsch diventa la nostra estetica e la nostra morale quotidiana. Fino a non molto tempo fa, l’essere moderni significava una rivolta non conformista contro i luoghi comuni. Oggi la modernità si confonde con l’immensa vitalità dei media, ed essere moderni significa sforzarsi accanitamente per essere aggiornati, per essere più conformisti dei conformisti. L’arte ha saputo creare quell’affascinante spazio immaginario in cui nessuno possiede la verità e in cui ciascuno ha diritto di essere capito.” E il romanziere Boemo rincara la dose sul futuro a cui stiamo destinandoci:”è possibile immaginare il futuro senza la lotta di classe o senza la psicanalisi, ma non lo si può immaginare senza l’irresistibile ascesa dei luoghi comuni, i quali, iscritti nei compute, rischiano di diventare in breve tempo una forza che schiaccerà ogni pensiero originale e individuale soffocando così l’essenza della cultura nei Tempi Moderni.” D’altra parte anche le previsioni Orwelliane come molte altre che sembravano solo fantascienza, si sono rivelate fin troppo ottimistiche. Buon divertimento a tutti.
Dario ‘Bluesman’ Gozzi