Giovanna Anversa, e il racconto di sei parole

Un racconto di sei parole. Sembra semplice e non lo è affatto. E viene da sorridere di fronte ad un mestiere – il nostro – in cui cerchiamo sempre altre parole, diverse e nuove, altre rispetto al concetto base, per trasformare pochi pensieri in un discorso articolato. Un racconto di sei parole, era questo il tema del Concorso dell’Ivvi, una casa editrice particolare rispetto a tante altre, che si occupa di nuova editoria.

Un racconto di sei parole. Giovanna Anversa lo ha preso come un gioco, perché così avrebbe dovuto essere. Ha inviato il suo, insieme ad altri 5000 giocolieri che hanno voluto mettersi alla prova. L’autrice di favole e amante dell’arte in genere ha voluto provare a giocarci e poi, quel racconto in sei parole, era finito tra millemila altre parole spese, altri pensieri ed altre cose della quotidianità. Dimenticate.

In questi giorni Giovanna è stata contattata dalla Casa Editrice. Tra i 500 microracconti selezionati c’è anche il suo.

Nicola Pesce scrive nella presentazione del libro: “Leggenda vuole che sfidarono Hemingway a scrivere un racconto in sei parole. Lui scrisse un tristissimo capolavoro – Vendo scarpe per bambini, mai indossate -. Questo già ci pone il dilemma. Che cos’è un racconto e, più precisamente, un racconto di sei parole? In un primo momento io avrei detto che un racconto di sei parole debba essere una successione di eventi, con un senso. Perché è un racconto. Ma Hemingway non fa succedere niente. È tutto al presente. Però ti costringe a pensare. Ciò che pensa il 99% delle persone è la triste storia di un padre (o di una madre) cui il bambino è morto prematuramente. C’è tutto un mondo dietro. C’è la gioia di comprargli i vestitini, di allestirgli una stanzetta colorata, e la profonda prostrazione di doversi disfare di tutto a seguito della morte durante il parto del bambino. Il restante 1% ha segnalato, e non del tutto a torto, che tutte le scarpe che si vendono non sono mai state usate e quindi quello potrebbe averlo scritto un comune negoziante di scarpe per bambini… Quindi un racconto di sei parole dovrebbe essere qualcosa che fa riflettere… Come potete leggere questo libro? Io farei così: ogni giorno aprirei una pagina a caso e leggerei uno solo di quei racconti. Chiuderei il libro e ci rifletterei qualche minuto“.

Giovanna non avrebbe voluto che si sapesse di questa cosa. L’ha comunicata agli amici, mandandone copia (del libro, non solo del suo racconto). Ed è una bella sfida a non divorarli tutti. Perché, se ci vuole un certo piglio, e pure una certa bravura a scrivere racconti da millemila parole, a maggior ragione ce ne vuole per scrivere qualcosa che narri, in sole sei parole.

Il racconto in sei parole alla fine, è solo un momento. Il resto viene lasciato all’immaginazione, agli stati d’animo, alla capacità di chi legge di costruire altro rispetto a quelle sei parole dalle quali partire. E’ la quint’essenza dell’immaginario. Lo scheletro – a pensarci bene – sul quale si regge il mondo delle favole. Ecco perché Giovanna Anversa è stata scelta. Non lo avrebbe detto a nessuno, e ci perdonerà (forse) di non averla ascoltata. Noi il suo testo non lo pubblichiamo, così un poco sembrerà che l’abbiamo ascoltata. Lasciamo solo alla mera cronaca il fatto che lei, insieme ad altri 500 prodi, sia stata scelta. Non è il Campiello, e non darà a Giovanna la notorietà eterna. Ma la cosa ha dato un sorriso a tutti i suoi amici (e sono tanti) e a tutte le persone che le vogliono bene, noi compresi.

Sei sole parole per tracciare un infinito. O per tracciare – più semplicemente – istanti. Un compito troppo arduo per noi prolissi ma ci consola il fatto che lei, almeno lei, che da tempo collabora con le sue favole a sportfoglio, ci sia riuscita.

N.C.

 

 

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