Eroica, tre casalaschi e il ciclismo del tempo che fu…

Il palcoscenico è la Toscana di Gino Bartali. La foto ricordo è sulla bicicletta originale Bianchi di Fausto Coppi, che nel Giro d’Italia 1949 accompagnò il Campionissimo nella leggenda, con una fuga vincente di 190 km (a Pinerolo), mai più verificatasi nella storia del ciclismo. Tutto attorno il sapore è quello genuino del vintage. L’Eroica è nata a Gaiole in Chianti, Siena, e lì continua a crescere: anche se oggi, per motivi di marketing, gira il mondo con tappe organizzate in Europa, Stati Uniti, Sudafrica e Giappone, l’Eroica originale resta qui, nella terra dei pionieri, dove da 23 anni viene organizzata.

“E’ stata una bella avventura: per me che sono appassionato di biciclette vecchie o d’epoca quella dell’Eroica è una domenica che si aspetta tutto l’anno”. A parlare è Giovanni Rivetti di Gussola. Lo avevamo conosciuto come dirigente del Martignana Calcio Amatori qualche anno fa, non sapevamo di questa sua passione per la bicicletta e per i bei tempi andati delle due ruote. Andati, ma forse già ritornati. “Ho coinvolto Giovanni Pagliarini, di Casalmaggiore, e Leonardo Franco, di Martignana di Po – spiega Rivetti -. In primis perché sono amici, in secondo luogo perché è bello vivere un momento del genere in compagnia, e condividerlo, e come terzo aspetto aggiungo che mi piacerebbe realizzare qualcosa del genere anche nel Casalasco-Viadanese, dunque se qualcuno mi aiuta – dopo avere provato le emozioni dell’Eroica originale – forse ho qualche chance in più per convincere le istituzioni”.

Il percorso scelto dai tre casalaschi è stato di 81 km: il secondo su cinque totali previsti (gli altri sono da 46, 106, 135 e 209 km). Le regole sono chiare: non si può partecipare con biciclette costruite dopo il 1987, l’abbigliamento deve essere vintage e al passo coi tempi (di una volta), non si possono apportare modifiche tecniche, con rapporti aggiornati per esempio, altrimenti sarebbe un po’ come correre con un motorino truccato. “La catena è saltata un paio di volte – sorride Rivetti – ma abbiamo provveduto: manutenere queste biciclette significa avere passione e al contempo sapere dove mettere le mani in caso di guasto. Si pensi che gli pneumatici sono ancora incollati al cerchione, come in effetti capitava qualche decennio fa anche nelle grandi corse. Io ho usato la mia Benotto, del 1970 e tenuta come una reliquia, perché reca l’autografo di Francesco Moser: quando devo lavarla, sto attentissimo a non scolorire la firma; a Giovanni ho prestato una Bianchi degli anni ’70, sempre della mia collezione (Rivetti ha una quindicina di velocipedi d’epoca, tutti tenuti egregiamente, ndr); Franco invece era a bordo della sua Ducale, degli anni ’50”.

Eroica sì, ma senza pensare al cronometro. “La vera sfida è pedalare su queste biciclette, che non hanno le comodità di quelle moderne – spiega Franco -. Sono più pesanti, hanno rapporti diversi, così a volte in salita capitava di scendere e farsela a piedi, con la bici in spalla. Noi però non abbiamo corso, ce la siamo goduta, impiegando oltre quattro ore per coprire gli 81 km. Comprendendo due tappe merenda. E’ stata un’esperienza totalizzante, più che semplicemente sportiva. Io stesso ho i brividi adesso che la ricordo e ve la racconto”.

Giovanni Pagliarini è stato un calciatore ad alto livello, arrivando a giocare nell’ex Interregionale con la Casalese, senza scordare l’esperienza nelle giovanili del Parma. L’amore per la bici da dove salta fuori? “Diciamo che mi tengo in forma – spiega Pagliarini – e ogni tanto faccio qualche giro: nulla di esagerato, giusto per stare in movimento. Dell’Eroica mi aveva parlato molto bene Rivetti e così ho voluto provare. Mi porterò dentro due particolari, due ricordi: in primis la bellezza da cartolina di certi paesaggi, di queste strade bianche immerse tra i vigneti del Chianti. E poi il fatto che alla fine della corsa ho chiesto a Rivetti se fosse disposto a vendermi la sua Bianchi, che mi aveva prestato per l’occasione. Un modo per evidenziare quanto mi fossi trovato bene, non ho quasi sentito la fatica: forse perché in un contesto del genere puoi provare soltanto piacere. Va beh, nella memoria ci sarebbe pure la fiorentina che abbiamo consumato la sera, ma di quella non si parla, perché una bontà del genere si può solo ricordare, non descrivere…”.

Qual è l’aspetto che è rimasto maggiormente nei cuori dei tre casalaschi? Per tutti risponde Franco. “Credo l’umanità, intesa come contatto diretto: è stato splendido fermarsi alle tappe merenda e salutarsi, scambiare due parole e socializzare con persone mai viste prima d’allora. Io credo che un momento come questo potrebbe fare bene a tanta gente, semplicemente per staccare gli occhi da quei dannati cellulari che ci stanno togliendo il piacere del calore umano. Siamo diventati amici di dieci, venti, cento, mille persone, nel corso di quattro ore di bicicletta. E’ stata una magia”.

Per Pagliarini un altro flash. “Sapete cosa vuol dire correre assieme ad altre 8mila persone? Io credevo di saperlo, ma vedendo questa distesa infinita, possono solo aggiungere che, ancora una volta, non si può spiegare. E’ impossibile rendere l’idea”.

“E di queste 8mila persone – aggiunge Rivetti – 500 arrivavano dalla Germania, 120 dagli Stati Uniti, una decina anche dall’Australia. E’ un evento mondiale, che fa grande l’Italia. Nel nostro piccolo sarebbe bello trasferirlo nel comprensorio Oglio Po. Non abbiamo le colline del Chianti, ma abbiamo la golena, il fiume Po, tanti bei borghi. Senza pretendere di portare 8mila persone, sarebbe una grande promozione anche solo con un centinaio di partecipanti. Voglio mettermi in pista, vogliamo provarci”.

“Tanto – sorride Pagliarini – qualche bicicletta la può prestare Rivetti, ne ha una caterva. A parte tutto, riscoprire il ciclismo dei pionieri non fa solo assaporare la bellezza dei tempi che furono, che spesso guardiamo con molta nostalgia, ma potrebbe pure favorire il recupero di alcune biciclette che magari sono finite nel dimenticatoio: poterle tirare fuori dal garage apposta per questi eventi sarebbe un inno contro la pigrizia e spingerebbe a tenere meglio il patrimonio che ognuno di noi conserva in casa, magari senza rendersene conto. Queste biciclette sono pezzi di storia, non pezzi da museo”.

“L’idea stuzzica Rivetti da un po’ – conferma Franco -. Adesso possiamo provare a dargli una mano, perché sappiamo il “peso” emotivo dell’Eroica e sappiamo che ne vale la pena. Io stesso mi sono già preso un personal trainer d’eccezione, Gianni Vezzosi dell’Avis Pedale Casalasco, per allenarmi ed essere pronto, nel 2020, alla 209 km”.

Sì, perché in attesa di esportarla nel Casalasco-Viadanese, i tre moschettieri, all’Eroica di Gaiole in Chianti – l’originale – vogliono tornarci eccome. “Abbiamo già prenotato l’albergo”.

Giovanni Gardani

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