Ennio Morricone: faccia a faccia col mito
Un comodino, un pianoforte, un ascensore. E’ buona regola giornalistica evitare sempre la prima persona. Ma questa volta mi tocca contravvenire. E non certo per piaggeria o per eccesso di protagonismo: ma perché un incontro come quello dell’8 ottobre 2016 me lo tengo stretto, immortalato su un comodino. La foto è scattata quando l’emozione si è ormai sciolta, quando ho strappato quei 3 minuti di videointervista che hanno il peso specifico del piombo in ogni secondo trascorso, con l’unica ansia rimasta – comunque non da poco – che il microfono fosse acceso, che la tensione non mi avesse tradito, che le parole del Maestro si sentissero nitide e chiare. Perché quando mi ricapita un’altra occasione così?
Del comodino vi ho detto, all’ascensore ci arriviamo subito. L’appuntamento è per venerdì, pardon per sabato. Roma, a pochi metri in linea d’aria dall’Altare della Patria, un palazzo imponente ma non fuori luogo, gigante tra i giganti della Città Eterna. Casa Morricone non ha nomi sul campanello ma nemmeno ha uscieri o corazzieri. Soltanto il portinaio che ci accoglie. E fa emergere il qui pro quo. Era sabato l’appuntamento, non venerdì: impossibile fosse quel giorno, perché il Maestro ha un concerto a Santa Cecilia e per lui un concerto è l’espressione massima del lavoro, il perpetuarsi di una carriera che, avendo raggiunto vette immense, non può permettersi nemmeno per una nota di abbassare il livello. Così, il giorno del concerto, il Maestro non incontra nessuno, per scelta e per prassi.
Era nato tutto per caso: con una lettera scritta a mano da Ulisse Bocchi al Maestro Ennio Morricone. Il Rotary Casalmaggiore Viadana Sabbioneta voleva consegnare a lui il Toson d’Oro Vespasiano Gonzaga. Un premio per una personalità che avesse fatto grande l’Italia nel mondo. E dopo Umberto Veronesi e Philippe Daverio, toccava a Ennio Morricone. Scelta azzeccata, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Senza social network e fuori dalla virtualità, Morricone rispose con una lettera scritta sempre a mano e poi con una telefonata diretta. Mi piacerebbe immaginarlo il buon Ulisse quando dall’altro capo della cornetta sentì le tre parole che seguono: “Sono il Maestro Morricone”.
Per me invece, col “progetto romano” rimasto top secret per mesi, quella trasferta era nata durante la Festa della Zucca, a metà settembre, davanti al baracchino della zucca fritta. Mi avvicina Massimo Mori, all’epoca presidente uscente del Rotary CVS e mi fa: “Devi venire con noi a Roma, ci serve qualcuno che filmi la consegna del Toson d’oro a Morricone”. Penso che il lambrusco, che sempre accompagna ogni sagra padana che si rispetti, stia facendo effetto, invece mancano soltanto tre settimane all’incontro degli incontri… Ma in quel momento ancora non lo so.
E’ andata proprio così: per questo, prima del comodino sul quale ho posato quella foto, incorniciata con rigore da mia mamma, sono venuti l’ascensore e il pianoforte. Il venerdì non va a buon fine, il qui pro quo si aggiusta il giorno dopo: il che comporta rifare i biglietti del treno di ritorno e trovare un buco (qualcuno in più, perché in quella trasferta con me ci sono Gianluca Bocchi, Mario Fazzi, Massimo Mori, Elena Anghinelli e Francesca Zavatto) per trascorrere la notte. Mica facile a Roma, città turisticamente sempre accesa, ma ci arrangiamo. Il portinaio ci ha detto di ripassare il sabato, perché tutto si compia. E ci fa capire che non sarà un buco nell’acqua: l’indomani alle 8.30 siamo lì dove dobbiamo essere.
Stavolta il nulla osta arriva e prendiamo l’ascensore: moderno ma non troppo, per non dare un pugno in un occhio ad un palazzo di un’altra epoca, pienamente inserito nel contesto urbanistico senza tempo del centro di Roma: l’Altare della Patria, del resto, si vedrà pure dalla finestra di Casa Morricone. Il viaggio in ascensore dura 45 secondi. Sembrano 45 minuti, ma è meglio così, perché aiutano il ripasso.
Abbiamo letto che il Maestro sa essere personaggio non facile: un giornalista che gli aveva chiesto di poter sentire un pezzo al pianoforte era stato cacciato, addirittura. O almeno così narra la leggenda ma ci fidiamo: quel piano è sacro, non è un gioco. E comporre è un rito, un valore non negoziabile con un capriccio. Per non sapere né leggere né scrivere né rischiare, depenniamo questa eventualità, che comunque non era mai stata sul serio presa in considerazione.
Quello che nessuno ci aveva detto è che Casa Morricone non ha schermi, così appena l’ascensore si apre ci stupiamo perché lì, sulla porta, c’è lui, il Maestro. Non un maggiordomo, non eventualmente la sua signora, no. C’è lui. Ed è un gesto, quello di venire personalmente ad aprire la porta, che toglie la prima pesante parte dell’armatura di tensione che ci attanaglia e ci opprime, tutti quanti. Ci viene presentata la moglie, che torna quasi subito nell’altra stanza per cucinare l’abbacchio, splendido esempio di quotidianità romanesca, poi il Maestro si assenta per qualche minuto, prezioso per studiare il territorio: ed è lì che incontro il pianoforte, quello che non vedrò mai suonare quel giorno ma che in altri benedetti giorni ha composto tutti i capolavori che conosciamo.
Se ne torna con un cd, Ennio Morricone. Una chicca, stampata in poche copie. Copertina grigia minimal, composizioni poco note, lontanissime dall’Oscar. Lo regala a ciascuno di noi. La cerimonia di consegna del Toson d’Oro è la parte più “semplice”, perché segue uno spartito e il Maestro ascolta, grato, impressionandoci quasi per l’attenzione alla liturgia. Chi fa musica sa che ci sono spartiti da seguire, e non sempre questi sono scritti su pentagramma. Non vola una mosca: al Maestro Morricone viene chiesta una dichiarazione, subito dopo la posa del collare col Toson d’Oro di Vespasiano Gonzaga, e lì col senno di poi scopro che le frasi riportate da alcuni giornali in questi ultimi giorni non sono del tutto vere.
“Ho pianto solo due volte, per Mission e per Papa Francesco”. No, stavolta il Maestro si sbaglia. Perché quel giorno, quell’8 ottobre 2016, si commuove. Pronuncia il suo grazie e singhiozza: “Spero di riuscire a dire qualcosa perché sono molto commosso”. Non sto inventando nulla, è tutto rigorosamente filmato e documentato. Si scusa il Maestro, per quel qui per quo, per quel venerdì diventato sabato, per quelle ore passate in attesa (che comunque, in una trattoria romana il venerdì sera, sono pure passate liete). Quello che non sa è che probabilmente avremmo atteso pure una settimana per una mezz’ora come quella…
Al momento di andare via, tocca a me: chiedo se può concedermi un’intervista video. Non è detto, non è un tipo facile e questo rende le tre domande che seguono ancora più intense: devo centrare l’obiettivo. Mi sono preparato, un po’, ma qualcosa lascio sempre all’improvvisazione. Diciamo che quella volta il copione l’ho seguito più del solito. Non è un problema di timore reverenziale, o forse sì, anche se un giornalista dovrebbe sempre metterlo da parte. Forse è solo ammirazione: per chi come me è cresciuto a pane e cinema, il peccato si può considerare veniale. O almeno mi piace pensare che sia così, dato che mi resta in canna pure l’ultima domanda… Pazienza.
L’intervista c’è, la foto anche. Sul treno di ritorno riguardiamo i filmati uno dopo l’altro, in loop, fino all’arrivo. Qualche sera dopo il Rotary CVS li proietterà per i soci che non hanno avuto la fortuna di esserci. Io mando la foto, dal cellulare, prima che venga stampata e diventi un cimelio sul mio comodino, alle persone a me più care. Poi sui social, per un po’ di vanagloria personale, devo ammetterlo. Del resto, se sul comodino di quella che fu la mia cameretta da bambino ho soltanto due pezzi di carta in cornice – la foto col Maestro e la lettera che Alfredo Provenzali, la voce storica di “Tutto il calcio minuto per minuto”, mi scrisse a mano per ringraziarmi di un articolo uscito proprio su Sportfoglio – qualcosa vorrà dire.
In un cassetto ho anche quel cd minimal, con la copertina grigia, conservato come una reliquia. Ho sempre pensato se aprirlo e ascoltarlo o tenerlo così, sigillato, un pezzo pregiato intonso. Il dono inatteso di un genio. Ora che il Maestro Morricone se n’è andato, mi sono deciso a scartare il cellophane che ancora lo protegge, a distanza di quasi quattro anni. La musica va assaporata e vissuta, non resa un pezzo da museo: Ennio Morricone l’ha insegnato al mondo.
Giovanni Gardani