Davide Mantovani, il Covid a Londra

Di stanza a Londra da anni e ormai inserito nel contesto della City, Davide Mantovani, originario di Sabbioneta, architetto classe 1982, è un osservatore privilegiato per capire come l’Inghilterra stia affrontando la pandemia Coronavirus. Non una nazione a caso, ma lo Stato che più di tutti – e tra i primi – ha spinto per arrivare all’immunità di gregge. Di fatto, nessun lockdown, rischi più o meno calcolati per quanto concerne il numero dei morti da mettere in conto e diffusione del virus per sviluppare al più presto gli anticorpi. Salvo, fare marcia indietro.

“Come in Italia – spiega Davide – tutto il mondo è paese. E spesso le idee sono buone o cattive a seconda del politico che le propone, forse per un discorso di fiducia in quella determinata figura, più probabilmente purtroppo per partito preso. Boris Johnson è stato attaccato e personalmente anche io sono tra i critici ma non per un discorso politico. Non a caso ha dovuto rivedere presto la sua strategia, ma intanto l’Inghilterra ha perso tre settimane buone: quando si è parlato di immunità di gregge, personalmente non solo non ero entusiasta della cosa, ma era sicuramente sconcertato. Sentivo parlare degli ospedali pieni in Lombardia, vedevo filmati dai vari reparti Covid e grazie a tutto questo ho capito che non era uno scherzo, specie perché molti degli intervistati dall’Italia erano medici, dunque persone esperte, che sanno quello che fanno e che dicono”.

In Inghilterra adesso i morti sono il doppio di quelli italiani (600 in media al giorno contro i 300 nel nostro Paese). “Io guardo il dato dei decessi, perché a mio avviso rimane il più indicativo di tutti per capire l’andamento della pandemia. Siamo partiti dopo e dopo ce ne libereremo – spiega Davide -. Ma sono anche convinto che il lockdown, se applicato subito, avrebbe dato esiti migliori. Forse da italiano, in contatto con la mia famiglia a Sabbioneta, ho capito prima di altri il vero pericolo del virus. Del resto, a fine febbraio, anche in Italia la paura non era così alta, né la percezione del pericolo. Diciamo che l’Inghilterra, al pari di altri paesi d’Europa, ha avuto la “fortuna” di avere un esempio concreto e vicino, che l’Italia non ha avuto”.

Il lockdown, dunque, era l’unico sistema? “Sì, ma sono contrario allo Stato di Polizia che mi pare si stia instaurando in Italia, almeno nelle ultime settimane. Mi spiego meglio: l’italiano passa sempre per furbetto o indisciplinato. Io però ho più fiducia nei miei connazionali di quanta non ne attribuiscano i luoghi comuni. Gli indisciplinati ci sono ovunque. Qualcuno evidenzia il fatto che a Londra, il giorno dopo la decisione della chiusura, sui mezzi pubblici non c’era più nessuno. E’ verissimo, dunque questo vuol dire che gli inglesi sono più ligi alle regole? Non è detto, perché Londra è una metropoli e una città multi etnica, dove gli italiani e gli stranieri in genere sono moltissimi. E tutti, al di là dell’etnia e della provenienza, hanno capito quanto era importante rispettare le regole: la metro il giorno prima era piena e 24 ore dopo si era svuotata. Personalmente ho iniziato a rifiutare inviti a cena o al pub da amici qui a Londra già a inizio marzo, anche se la chiusura dei locali è stata successiva”.

Dunque che fare, pure in Italia? “Responsabilizzare la gente. Io riconosco la validità del lockdown – spiega Davide – ma mi fa sorridere che ci sia bisogno di una autocertificazione. L’Inghilterra in questo, pur arrivandoci in ritardo, ha scelto poi una strada più liberale. Quando la gente percepisce il pericolo, non ha bisogno di carte bollate per rispettare le regole. La gente sa ascoltare, specie su questioni così serie, che riguardano tutti. In questo senso, mi piacerebbe che in Italia ci fosse più fiducia nelle persone. E’ indubbiamente giusto controllare ed è giusto evitare gli assembramenti: ritengo però poco educativo il clima di terrore che a volte mi sembra si stia instaurando in Italia. Uno che rispetta le norme, rischia di avere comunque paura di sbagliare e di prendere una multa ad ogni virgola. Riassumendo in modo estremo, potrei dire che la situazione inglese è simile a quella italiana, solo con meno burocrazia. Certo poi, osservare Londra significa dover fare un paragone con una metropoli italiana, dunque con Milano, Roma o Napoli, ad esempio. Londra inoltre ha una caratteristica particolare, quasi unica nel mondo: molte case sono in condivisione tra coinquilini. Non stupisce dunque che molti si siano ammalati anche dopo il lockdown, restando a casa: tuttavia adesso la curva epidemiologica appare stabile”.

A tal proposito, come funziona il telelavoro? “C’è sempre stato, ora ovviamente viene sfruttato molto di più. Nel campo dell’architettura, il mio settore, per quasi tutti gli studi è stata però una novità. Credo sia una buona soluzione per il futuro, che il Coronavirus ha indubbiamente accelerato. E questo vale per Londra come per tutte le grandi città, e in parte pure per i centri più piccoli”.

Una differenza positiva rispetto all’Italia? “Ho apprezzato molto la scelta del Governo inglese nell’emergenza: qui chi non va a lavorare prende lo stipendio dallo Stato. Il sostegno economico adesso diventa indispensabile. Da questo punto di vista in Italia, forse anche perché i mezzi sono limitati, non ho visto la stessa concretezza e immediatezza”.

Giovanni Gardani

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