Catherine Destivelle: arrampicata, gioco di tattica

Indimenticabili gli anni ottanta per il mondo dell’alpinismo e dell’arrampicata sportiva. In quel periodo esplosero alcune delle figure più forti e rappresentative della New Wave of Free Climbing, volendo mutuare dal nome di un noto stile musicale metal del periodo. Con improbabili tutine attillate dai colori sgargianti, numerosi scalatori assursero alla fama mondiale.

Fra questi, impossibile dimenticare alcune figure femminili fra cui la mitica Catherine Destivelle, una delle free climber e alpiniste francesi più forti di tutti i tempi. Nata in Algeria da genitori francesi nel 1960, iniziò a frequentare il Club Alpino Francese proprio su loro spinta ed iniziò ad arrampicare sui massi della foresta di Fontainebleau nel pieno dell’adolescenza.

Fisioterapista, alternò il lavoro a Parigi con l’allenamento cui si dedicava in ogni momento libero, fino a raggiungere le prime competizioni internazionali di arrampicata, in particolare “Sportroccia” (embrione dell’attuale Rockmaster) che si teneva fra Bardonecchia ed Arco e della cui giuria facevano parte, fra gli altri, Riccardo Cassin e Maurizio Zanolla (Manolo).

Catherine ne vinse le prime tre edizioni consecutive e partecipò a diverse gare in patria e negli Stati Uniti. L’attività di free climber la portò a scoprire e frequentare le falesie più importanti di Francia come Verdon, Ceuse e Buoux, culla dell’arrampicata sportiva tra gli anni settanta ottanta e novanta e già teatro delle imprese dei fratelli Remy, di Patrick Edlinger, Bruno Clément, Patrick Berhault e del nostro Manolo.

Per ammirare questa splendida atleta all’opera è sufficiente procurarsi il film “E’ pericoloso sporgersi” che documenta la prima salita femminile nel Verdon della temibile e famosa via “Pichenibule” insieme a Monique Dalmasso nel 1985. Catherine dimostra una forza d’animo ed una tecnica impareggiabile e con il suo sorriso ed il suo sguardo diviene presto il sogno proibito di tutti i climber anche se il sentimento prevalente potrebbe essere tranquillamente l’invidia a causa della sua eccezionale bravura.

Catherine arrampicò spesso anche all’estero tra Australia, Stati Uniti e Africa. Entrò definitivamente nella storia nel 1988 quando realizzò la primissima salita femminile di una via con difficoltà 8a+ nel sito di Buoux. Il suo primo vero amore però non fu il free climbing ma l’alpinismo e presto, abbandonò le competizioni e l’attività sportiva per dedicarsi alla montagna vera e propria. Ricalcando le orme di Walter Bonatti, cui però non accetta di essere paragonata, fu la prima donna che in solitaria ed in sole quattro ore percorse la sua via al Petit Dru.

Realizzò le prime salite femminili sulla nord dell’Eiger (cui Clint Eastwood dedicò anche un film negli anni settanta e salita per la prima volta nel 1938 da una cordata tedesco/austriaca guidata da Heinrich Harrer autore del celebre Sette anni in Tibet), sulla nord delle Grandes Jorasses e sulla famosa via Bonatti al Cervino nel 1994 (i cui tentativi di ripetizione si contano sulle dita di una mano).

 

Catherine non si accontentò però delle Alpi e decise di partecipare ad alcune spedizioni extra-europee fra cui la salita in dello Shishapangma (8027 mt) che resta il suo unico ottomila nel curriculum. La sua ultima grande impresa è stata la salita in solitaria in due giorni della Via Hasse-Brandler sulla parete nord della Cima Grande di Lavaredo nel 1999.

Sposata e con un figlio, la Destivelle ha diradato le proprie uscite ma oltre all’alpinismo che ancora pratica, ha iniziato una proficua carriera di conferenziera sulle sue spedizioni, di scrittrice, editrice e realizzatrice di film di montagna ricevendo anche vari premi fra cui la Genziana d’oro del Club Alpino Italiano. Quando le chiesero cosa la spingesse verso imprese estreme rispose che “è molto importante arrampicare per sé stessi. L’entusiasmo e la motivazione fanno progredire più in fretta di qualsiasi altro stimolo”.

Il fattore più importante nell’alpinismo poi, è il sapersi porre degli obiettivi, meglio dalla giovane età, coerentemente con le proprie aspirazioni.

“Credo che sia un aspetto molto importante, non solo per i bambini, ma anche per gli adulti. Quando arrivano in cima sono tutti contenti perché ce l’hanno fatta. Col tempo io ho scoperto che era un gioco in cui di fronte a strutture sempre diverse bisognava creare passaggi nuovi e prese giuste. Insomma, un fantastico gioco di tattica”.

In un’intervista a “La Stampa” del 2015 le chiesero cosa fosse l’alpinismo. Catherine rispose così: “Un gioco. Gli alpinisti sono bambini con l’aspetto di grandi. La montagna è un ambiente che ti fa vivere. Una sensazione profonda e completa, perché affronti il pericolo che aumenta l’impressione di vivere. Ti insegna ad apprezzare la scala di valori, le differenze”.

Marco Vallari

 

 

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