Casali e il sisma. Piccole memorie d’un abbraccio

… i sassi, una parte dei sassi, non ci sono più. E con loro se ne sta andando la memoria. La storia di tanti piccoli borghi appoggiati alla montagna. Al posto delle vecchie case, e di quelle crollate, spianate di terra e detriti. Resteranno così, in tanti piccoli centri. Lo sanno anche loro, lo sa chi ha resistito sino ad ora intorno ad Amatrice, nelle piccole frazioni che compongono un territorio frastagliato. 66 frazioni, 66 piccoli agglomerati di case poggiati sulla montagna come tanti piccoli fiori di campo. Sino a che c’erano i sassi – paradossalmente – anche la speranza sopravviveva. Un po’ come quella del malato attaccato ad una macchina. Si sa che clinicamente è morto ma a volte, ai familiari, basta la presenza per credere, anche incosciamente, che qualcosa possa cambiare. La macchina è stata spenta, inizia il tempo della sepoltura…

… a Casali di Sopra c’è solo una casa che è stata dichiarata ancora agibile. E non ha quasi più neppure la strada per raggiungerla. Il sisma ha mutato radicalmente anche la morfologia dei luoghi. La strada che c’era un tempo non c’è più. Alcune delle case sono già state abbattute, e i ‘miseri resti’ portati via. Una piccola piazza gentile, una fontana, qualche sarcofago. Di notte l’ululare dei lupi neppure troppo distanti. Una strada sterrata che si inerpica sino all’ultima costruzione, vuota dal giorno del terremoto.. Attorno qualche struttura – inagibile – che ancora resiste. Resisterà per poco, giusto il tempo di qualche malinconico tramonto, e di qualche firma…

… sono i tramonti, e le albe, le cose più struggenti di queste montagne. Insieme ai fantasmi, insieme al ricordo dei bimbi vocianti, degli incontri sulla strada, della legna da tagliare e delle nuvole da seguire. Insieme agli incontri, alle grigliate, alle sere a raccontare un poco. C’è un piccolo cimitero che si vede dall’alto. Raccoglierà gli ultimi anziani quando se ne saranno andati, e gli ultimi combattenti che non hanno pensato neppure per un giorno, un giorno soltanto, di abbandonare il fronte. Se ne sono andati in tanti, in questi mesi dopo l’anno zero, tra i guerrieri, verso altri dove e son rimasti in pochi. In alcune delle frazioni di Amatrice si contano su una mano. Anziani, folli per chi non ha avuto l’immensa fortuna di conoscere questa gente, saggi leoni impavidi per chi ha avuto modo di conoscerli, e di capire…

… non si può abbandonare quello che prima di essere fuori, è dentro. Non si può lasciare la terra, se quella terra è parte della carne, parte del sangue. Non lasceremmo mai una parte del nostro corpo nel mondo che ci appartiene per portare l’altra parte in un mondo altro. Non sopravviveremmo…

… “Se devo morire, morirò qui”. E’ una delle frasi che restano incollate addosso, che ti si imprimono dentro quando cerchi di capire. Moriranno lì, in una terra che spesso trema, e trema dello stesso ritmo di ciò che ci trema dentro, in lande in cui è rimasta solo la poesia, qualche muro sbrecciato e tutti i ricordi. Facile dire che se ne dovrebbero andare, verso luoghi più sicuri, verso case stabili, verso terre meno irascibili. Ma la terra per loro è quella dove hai radici. Più profonde dei sassi caduti, più profonde del senso di impotenza, più profonde della disperazione, delle lacrime, delle bestemmie. Radici che non si spezzano ed è giusto così. Lo capisci se sei lì che in quella lotta, in quell’ostinato coraggio, in quella battaglia impari, armati di fionde contro i cannoni, in quella incrollabile resistenza c’è più vita di quanta poi se ne possa raccogliere altrove. Giannina mi guarda. “Dove me ne devo andare? Io sto qui”. Ha una chemio alle spalle, ci vede ormai poco e l’età comincia ad avanzare. Ma ha vissuto qui, qui ha radici qui ha percorso una parte del viaggio. L’altra parte è ancora in questa piccola frazione, a Casali di Sotto, tra vasi di fiori e marmellate da preparare, tra gatti, il cane e le galline, tra abbracci da dare e sorrisi. Con le sue torte e i suoi liquori, con i suoi affetti e la memoria. Con le sue radici profonde che poi son più profonde ancora di quelle che potremmo mettere noi in una vita, perché sono state messe alla prova, e rafforzate, da un sisma che non ha cambiato il senso dell’esistenza…

… moriranno qui, tra cent’anni o forse meno, abbracciati alla loro terra e ai loro ricordi. Con tutta quella struggente quiete che li circonda. Moriranno, tra cent’anni o forse meno, tra quattro pareti in legno che si sono costruiti, con una sedia nel piccolo cortile per poter immaginare l’orizzonte. Non c’è resistenza più grande e gentile, non c’è cosa più bella ed umanamente coinvolgente che cercare di capire…

… ed ho cominciato a comprendere chi non se ne va, chi ferocemente resta. Mi sono innamorato follemente delle terre tra Lazio e Abruzzo, Umbria e Marche che un po’ le sento mie. Mi sono innamorato dei gatti che vagano per strada, delle mucche al pascolo, dei cani che ti corrono incontro. Sinanche delle oche che difendono i propri spazi, meglio dei cani. E mi sono innamorato delle gente che lotta, contro tutto e tutti, a volte anche contro lo stato che poi qui è solo una parola vuota, un termine senza alcun significato positivo, un’ombra di tabacco da masticare e poi sputare a terra…

… spegneranno i piccoli borghi e spegneranno la loro storia e la memoria. Resteranno agglomerati di case in legno che pure a chiamarle case si prova vergogna. Baracche tutte uguali, una in fila all’altra. Spegneranno gli echi di un passato perduto per sempre. Ma non spegneranno mai questa umanità indefessa, questo coraggio e questa determinazione. Morirà con loro ma ormai in chi resta, in chi è andato, in chi ha conosciuto è memoria indelebile. Tutta chiusa in un abbraccio. Tutta dentro a rimbombare forte…

… abbiamo chiuso il 14° viaggio nelle frazioni di Amatrice con Sportfoglio e insieme al WWF Umbro. Ma ci saranno altre volte. Perché ormai di quella vita che riempie pure le nostre di un significato più profondo e di un esempio cristallino, non possiamo più farne a meno…

Nazzareno Condina

 

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