Andrea Devicenzi, il coraggio ha trent’anni

Forse diverrà un libro o forse non lo diverrà mai. Intanto però è un racconto – ancora nemmeno terminato – scritto a quattro mani con l’amico Andrea Devicenzi. Splendido protagonista in questi giorni della via Postumia. 930 km di fatica, ennesima sfida della sua vita.

Di sfide ne ha vinte tante, qualcuna l’ha persa ma non gli è mai mancato il coraggio.

In questi giorni ricorre per lui un doloroso anniversario. Lo ha ricordato lui stesso lungo il cammino. 30 anni fa l’incidente che gli portò via la gamba. Aveva 18 anni, era un giovane di belle speranze, grandi sogni ed una vita felice.

Oggi di anni ne ha 48, è un diversamente giovane di belle speranze, grandi sogni ed una vita felice. E’ lui stesso a ricordarci che quando si perde, quando si è a terra, quando si è segnati c’è sempre la possibilità – parafrasando Alex Zanardi – di ripartire da quel che resta….

… era il 28 agosto del 1990, e avevo 18 anni. Uno spostamento in moto come tanti. Mi piaceva la strada e quel giorno – inconsapevole – stavo andando incontro al destino. Mi stavo spostando verso Viadana, 13 km da casa mia, insieme ad un gruppo di amici. A Cicognara la mia moto incrocia una macchina. Ci sbatto violentemente contro e ad un tratto sono a terra…

… ricordo la sensazione fortissima di dolore, il sangue che usciva dalla mia gamba. La gamba. Il ginocchio e parte della muscolatura non c’erano più. La parte inferiore era attaccata alla parte superiore solo attraverso i tendini. Era l’unica cosa che restava. Ricordo il gran dolore, il sangue che usciva e la sensazione che il corpo si stesse, pian piano, spegnendo…

… non ho mai perso conoscenza. Ricordo un ragazzo che, prima che arrivasse l’ambulanza, si era tolto la cintura e me l’aveva stretta forte a quello che restava della gamba per fermare il sangue. Devo a lui la mia vita. Non so neppure il suo nome, ma ne ricordo il volto. Sono stato vigile e cosciente per tutto il tempo. Quell’interminabile tempo coricato sull’asfalto bollente di agosto…

… andavo in canoa, e facevo il piastrellista. Ero 82 kg di muscoli. Il fisico è stata l’altra cosa che mi ha salvato. Ho perso 9 litri di sangue, subito 19 trasfusioni. Sono morto, per 50 interminabili secondi, prima che mi rianimassero. Ricordo la faccia di mio padre, quella dei medici e quella gamba sulla barella. Avevo capito subito che l’avrei persa per sempre. 6 mesi di ospedale a Casalmaggiore, poi 3 settimane a Reggio Emilia e due a Bologna…

… la mia strada, la mia vita, ripartiva da zero. Me ne resi conto solo qualche tempo dopo aver lasciato l’ospedale perché forse, ancora il punto più basso lo dovevo toccare. Furono giorni difficili, un anno di vuoto. Non capivo cosa fare, non riuscivo a vedere al di là di quella gamba mancante. Prima dell’incidente il lavoro con mio padre andava bene, andavo in canoa, amavo la moto, la strada e la vita. Fu un anno buio e disperato…

… un anno dopo, ero ancora lì a chiedermi che possibilità avesse un amputato di vivere una vita normale. Un giorno poi, e per caso, ho rivisto il mio fiume e la canoa e qualcosa mi è scattato dentro. Tutti mi dicevano che era impossibile, ma io volevo fortemente tornare su quella canoa, la mia canoa. Forse qualcuno mi prese allora per pazzo, e forse lo ero davvero. Ma quella sfida io la vinsi. Tornai su una strada diversa, il fiume…

Oggi Andrea è ancora uno sportivo, è un imprenditore, un motivatore, ha una splendida famiglia e tantissimi amici che lo seguono. Continua a fare programmi e difficilmente si ferma.

Quella in corsivo è la prima parte della storia scritta a quattro mani che lo riguarda. Forse un giorno la porteremo a termine. Forse, perché per stargli a dietro ci vorrebbe un pool di scrivani ad alternarsi. Lui è un iperattivo naturale, non riesce a sta fermo mai. Per sommare la strada fatta a piedi da lui in questi trent’anni, dovrei vivere altre sei vite, e forse non ne avrei neppure a sufficenza.

Da queste parole in poi è tutto un percorso di risalite, qualche battuta d’arresto e qualche cambio di passo. L’Andrea Devicenzi di oggi è figlio di quel tempo ed è in fondo figlio di un tempo tutto suo: un tempo in cui ci si rialza sempre e sempre ci si guarda indietro per prendere la spinta e rilanciarsi in avanti

Com’è essere senza una gamba? Facciamolo dire a lui…

Nazzareno Condina

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