Alpinismo, Daniele Nardi: mai arrendersi!

Tristemente noto per la recente tragica fine sullo Sperone Mummery alle pendici del Nanga Parbat (8.126 mt in Pakistan), Daniele Nardi era un alpinista forte e completo. Nacque nel 1976 a Sezze, nel Lazio in una zona lontana da qualsivoglia velleità alpinistica, ma, grazie alla famiglia riuscì comunque a frequentare fin da piccolo l’ambiente montano, recandosi in vacanza sui monti Lepini e successivamente iniziò a frequentare le Alpi.

Le prime esperienze di arrampicata risalgono all’adolescenza quando, munito di uno spezzone di corda nautica, salì le pareti più vicine a casa. Qualche anno dopo ci fu il salto di qualità quando, in solitaria, scalò il suo primo quattromila ovvero le Grandes Jorasses che furono teatro e scuola dei maggiori alpinisti italiani come, uno su tutti, Walter Bonatti.

Come solitamente accade, anche per Daniele fu amore a prima vista e gli anni successivi furono dedicati alla salita delle più impegnative pareti alpine. Ma il suo obiettivo non era confinato sulle Alpi ed il suo sguardo volgeva già verso sfide più invitanti quanto estreme. Nel 2001 partì per la sua prima spedizione himalayana sul Gasherbrum II e nel 2002 tentò la salita alla vetta del Cho Oyu (8.201 mt), fermato ad un “tiro di schioppo” dal traguardo a causa di un principio di congelamento. La carriera in Himalaya comunque proseguì senza sosta e negli anni successivi conquistò Everest (8.848 mt) e Shisha Pangma (8.027 mt).

Dopo una breve pausa dal tetto del mondo in cui si trasferì in Sudamerica per scalare l’Aconcagua (6.962 mt) sulle Ande Argentine insieme ad un gruppo di alpinisti laziali, ritornò quasi subito nel 2006 al confine tra Nepal e Tibet per tentare la vetta del Makalu (8.463 mt), conquistando poi il Nanga Parbat ed il Broad Peak (8.045 mt), il tutto in un solo mese.

Rispetto a tanti altri colleghi più o meno blasonati, Daniele aveva una dote straordinaria, che consisteva in una notevole capacità di adattamento climatico. Le sue imprese, spesso, avevano dell’incredibile per la costanza con la quale perseguiva ogni obiettivo. Nel 2007 avvenne una controversa spedizione al K2, che fu tra l’altro occasione per la realizzazione di un documentario intitolato “K2: il sogno, l’incubo” a cura di Marco Mazzocchi e trasmesso su Rai2. Nardi arrivò in cima il 20 Luglio con alcuni russi, tre statunitensi ed un alpinista iraniano, tuttavia, nella discesa avvennero degli incidenti che furono raccontati in due maniere diverse con smentite e contro-smentite da parte dei protagonisti.

Alla fine la questione fu comunque risolta ed il caso si chiuse senza particolari conseguenze. Le avventure di Daniele in Himalaya non finirono lì, infatti, due anni dopo riprese le spedizioni iniziando ad aprire diverse nuove vie, in particolare quella sulla parete nord dell’Ama Dablam in Nepal (6.812 mt) nella regione dell’Everest, via che però rimase incompleta circa a metà. Successivamente si spostò in Pakistan dove aprì una nuova via chiamata Telegraph Road di oltre mille metri sul Farol West (6.370mt).

La via fu aperta insieme a Lorenzo Angelozzi che con Daniele conquistò anche una cima inviolata, chiamata dai due alpinisti italiani “Peak of Freedom” o “Punta Margherita”. Pur di giovane età, Daniele Nardi si dimostrò veramente instancabile nella ricerca di nuove cime da affrontare, nuovi rompicapi alpinistici da risolvere, nuove vie da aprire.

Si prese un’altra pausa per rientrare in patria e dedicarsi nel 2010 all’apertura della via direttissima sulla parete nord est dello Jägerhorn, nel massiccio del Monte Rosa al confine con la Svizzera. Il primo amore però non si scorda mai e la lontananza dal tetto del mondo si fece sentire subito portandolo a salire nuove vie di ghiaccio e misto, un po’ ovunque, in India e Nepal.

Partecipò fra le altre cose al progetto “Share Everest” a cura del CNR che si proponeva di installare la stazione meteorologica più alta del mondo, collegata al laboratorio osservatorio internazionale Piramide situato a Lobuche sul colle sud. Il progetto del laboratorio fu concepito, tra gli altri, anche da Ardito Desio, storico capo della spedizione italiana che nel 1954 conquistò per prima il K2.

Dopo un tentativo invernale al Nanga Parbat, fallito nel 2013 per un altro principio di congelamento, l’attenzione del nostro connazionale si spostò sul famigerato Sperone Mummery che tentò di salire diverse volte senza riuscirvi tra il 2014 ed il 2016. Lo Sperone Mummery, situato a 6.450 mt è lo stesso luogo dove trovò la morte, nel 1970, Gunther Messner, travolto da una valanga mentre tentava di scenderlo insieme al fratello Reinhold.

Lo sperone Mummery sembra un’impresa impossibile. Ogni tentativo viene infatti frustrato da varie vicissitudini. Daniele lo salì in solitaria, in coppia, in cordate multiple, ma non riuscì mai a portare a termine la scalata. Oltre alle difficoltà tecniche subentrarono negli anni anche problematiche meteorologiche che non consentivano ascensioni dato che le schiarite erano assai brevi, oltre a fattori contingenti come qualche errore di valutazione o forma fisica non ottimale e, non da ultima, l’obiettiva pericolosità del luogo con la presenza di tre canaloni molto ripidi soggetti a distacchi improvvisi di neve e ghiaccio.

Nel 2017 rientrò in Italia per aprire nuove vie su Gran Sasso, Majella e Terminillo fino al 2018. A dicembre 2018, insieme a Tom Ballard, giunse ad Islamabad ed iniziò l’avvicinamento alla regione del Nanga Parbat per un ennesimo tentativo invernale sullo Sperone Mummery. Durante il percorso i due ne approfittarono per incontrare studenti universitari e per consegnare in dono, ai bambini dei villaggi rurali, del materiale didattico. Dopo una decina di giorni di viaggio, Daniele e Tom raggiunsero il Campo Base ed entro Capodanno completarono l’allestimento del Campo 1.

Per l’Epifania 2019 raggiunsero il Campo 2 e qualche giorno dopo il campo 3 a quasi seimila metri, proprio sotto lo Sperone. Trascorsi alcuni giorni di acclimatamento, i due raggiunsero quota 6.200 mt nell’esatto punto dove si interruppe il tentativo del 2013. L’impresa sembrava stregata: condizioni meteo avverse e rischio valanghe tennero sospesa la progressione per alcune settimane oltre ad una scossa di terremoto che aumentò notevolmente il rischio di valanghe.

Verso fine febbraio, il 22, arrivò finalmente una finestra di bel tempo e quindi decisero di partire immediatamente giungendo in poco meno di due giorni al Campo 4 e proseguendo oltre, per poi essere costretti a rientrare al Campo 4 a causa della nebbia e del vento forte.

Il resto è triste cronaca recentissima. Ecco la ricostruzione in base alle fonti ufficiali ed alla stampa: il 25 febbraio si perdono definitivamente i contatti radio. Il 26 viene attivato il sistema di soccorso pakistano, che viene rallentato dall’improvviso scoppio di un conflitto militare ai confini con l’India, che determina la chiusura dello spazio aereo pakistano. Il 28 febbraio, completato con esito negativo un sorvolo della zona, si decide di portare in loco quattro alpinisti esperti che in quel momento si trovavano sul K2, tra cui il basco Alex Txikon ma il trasporto avviene solo il 4 marzo a causa del maltempo.

Il 6 marzo vengono avvistati con un teleobiettivo i corpi senza vita di Daniele e Tom legati a delle corde fisse, ma la notizia viene confermata solo il 9 marzo. A causa dell’impossibilità e pericolosità del luogo, non è al momento possibile procedere al recupero delle salme. La causa del decesso è, con ogni probabilità, una valanga. Lo Sperone Mummery ha richiesto un altro tributo di sangue che ha colpito duramente il mondo alpinistico italiano ed internazionale.

Tanti scalatori provarono a dissuadere Daniele Nardi dal reiterare il tentativo ma lui, con un messaggio profetico, si espresse così: “Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che non si è arreso e, se non dovessi tornare, il messaggio che arriva a mio figlio sia questo: non fermarti non arrenderti, datti da fare, perché il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea… Vale la pena farlo”.

Marco Vallari

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