Leonard Cohen, il poeta gentiluomo

Il 2016 è stato fatale per molte rockstars che ben ricordiamo, ma non si è risparmiato neppure con decine di musicisti meno popolari e di sicuro valore. Ricorderei Leon Russell, i pianisti e compositori di New Orleans Allen Tousaint e Mose Allison nonchè il mitico LEMMY deus ex machina dei Motorhead.

Tra questi “caduti” sul campo, dobbiamo annoverare anche il caro LEONARD COHEN, a quanto pare veramente caduto dalle scale con effetti letali, considerato che all’anagrafe faceva 82.

Da pochi giorni era disponibile il suo (effettivamente) ultimo album YOU WANT IT DARKER dove la sua voce sepolcrale ci aveva confessato di essere pronto al gran passo (“I’m ready my Lord”). Con queste premesse non c’era da aspettarsi un disco ballabile e spensierato.

La sua voce, straordinariamente grave e roca, declama i sempre magnifici versi delle canzoni, sostenuta da una parca strumentazione e da un accompagnamento scarno e funzionale. Musicalmente prevalgono i toni pacati, la voce e le atmosfere sonore, a volte quasi ecclesiastiche, comunicano una sensazione di sacralità, come di preghiere recitate al buio. Ovviamente, dato l’alto rilievo poetico, sia per questo che per gli altri lavori di Cohen, sarebbe auspicabile la conoscenza dell’idioma inglese.

Il nostro Leo nasce a Montreal nel Quebec canadese nel 1934 e a 22 anni, novello beatnick intimista, riesce a pubblicare alcuni libri di poesie (arriverà ad un totale di una decina) che ne svelano stile e capacità. Scrive e dà alla stampa anche due romanzi di culto IL GIOCO FAVORITO e BELLI E PERDENTI (come la canzone di Bob Seger). Ma come nel caso del nobelizzato Dylan, che ha scritto solo un romanzo incomprensibile ed allucinato intitolato “Tarantula”, la notorietà non sarà raggiunta in virtù degli scritti, ma grazie al successo ottenuto dalle canzoni.

Il primo lp di Cohen è del 1967 “Songs of Leonard Cohen” e subito sforna i primi capolavori “Suzanne” e “So long Marianne”. Anche il successivo “Songs from a room” pervaso di malinconia, contiene tra gli altri gioielli la fantastica signature song “Bird on the wire”. Ed anche “Songs of love and hate” non si fa mancare le bellissime “Famous blue raincoat”, “Joan of Arc” e “Avalanche”.

De Andrè cominciò a tradurre (con difficoltà) i suoi brani e a farli propri. Eccellente testimonianza d’epoca è il dvd “Live at the isle of wight 1970” quando con carisma e tranquillità ammutolì settantamila persone fuori di testa per la precedente incendiaria esibizione di Jimi Hendrix, salendo sul palco in impermeabile e pigiama. Continuerà con altri ottimi albums durante i ’70 e gli ’80, compresa la sua canzone più famosa e coverizzata “Halleluia”.

Più che cantare, Cohen recita con intonazione magistrale le sue poesie sopra un raffinato accompagnamento musicale. Non è stato esente, nella sua inquietudine, da comportamenti contraddittori. Girovago, alternò periodi edonistici da seduttore tra alcool e psicofarmaci, a lunghi ritiri mistici. E fu proprio uscendo dopo sei anni (!) di autoreclusione, da un monastero buddista dove è stato pure ordinato monaco, che si accorge di essere stato nel frattempo derubato completamente dal suo ex manager.

Per questo motivo è costretto a rimettersi in tour e continuerà fino alla fine. Il copioso frutto di questa senile attività sarà una serie di dischi, soprattutto live e di bellissimi films e documentari. Cohen ha sempre fatto ricorso all’ironia per controbilanciare in parte il profondo pessimismo che pervade la maggior parte delle sue composizioni, con temi che hanno a che fare con desiderio, peccato, redenzione, solitudine, perdita ecc…

Era pronto per il gran finale e quando ha saputo che Marrianne Ihlen suo amore per un decennio ai bei tempi del ritiro sull’isola di Hydra e musa ispiratrice di alcune tra le sue canzoni più belle e toccanti, stava morendo di cancro, la contattò. “Beh, Marianne” scrisse “è arrivata l’ora della nostra vecchiaia i nostri corpi ci stanno abbandonando e credo che ti raggiungerò molto presto, so che sono dietro di te, talmente vicino che se distendi la tua mano puoi raggiugere la mia”.

Marianne riuscì a leggere queste parole e morì due giorni dopo. La lettera finisce così “sappi che ti ho sempre amato per la tua bellezza e la tua saggezza. Non c’è bisogno di aggiunger altro. Ora, voglio solo augurarti buon viaggio. Addio vecchia amica, infinito amore, ci vediamo lungo la strada”. E così ha fatto.

Dario ‘Bluesman’ Gozzi

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