Il ricordo di Nazza…Ciao dal Tuo SportFoglio

Ci siamo svegliati più soli e tristi: Nazzareno ci ha lasciati dopo aver combattuto per un anno e mezzo contro un male che, oggi, possiamo definire inesorabile. Da 19 anni era il cuore pulsante di Sportfoglio, testata giornalistica che aveva contribuito a fondare e che seguiva come un figlio, riversandovi tutta la sua passione, i suoi sogni e le sue utopie.

Quello che doveva essere un semplice giornale sportivo del Casalasco e del Viadanese, grazie alla sua visione, si è trasformato in qualcosa di molto più grande. Nazzareno ha ampliato gli orizzonti e accanto a calcio, volley e rugby, trovavano spazio i suoi articoli sugli animali abbandonati, quei cani e gatti che chiedevano solo una carezza e un po’ di amore. C’erano gli articoli sulla golena, quel luogo della perdizione dove si ritrova ogni persona che è nata in riva la grande fiume. C’erano i temi sociali, ambientali, legati al territorio: argomenti che rivelano la sensibilità di una persona e in cui Nazza riusciva a toccare le corde più profonde, stimolando i lettori a riflettere, a interrogarsi, a guardarsi dentro.

Il primo ricordo che ho di lui lo vede accanto a don Paolo Antonini, alla Casa dell’Accoglienza di via Cavour. Negli anni Ottanta e Novanta, decine di migranti arrivavano lì, e l’ateo Nazza, ogni giorno, lavorava al fianco del discusso sacerdote per offrire un pasto e un letto a chi non aveva nulla. Pur vedendo il mondo in modi diametralmente opposti – tanto che gli scontri a volte erano aspri – ciò che li univa era un obiettivo comune, che finiva sempre per prevalere.

Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo seguito Nazzareno attraverso i messaggi che ci lasciava sui social, come lettere nella bottiglia affidate alle onde da un naufrago. Ci parlava del suo “compagno di viaggio”, il male con cui conviveva e contro cui lottava, e allo stesso tempo ci apriva gli occhi sulla vita negli ospedali: i “luoghi degli angeli” dove il dolore è quotidiano ma dove, a volte, basta un sorriso o un’illusione per alleviare la sofferenza.

Anche in quei 500 giorni di battaglia, Nazzareno ha continuato a raccontarci la vita con uno sguardo unico e profondo, capace di cogliere le sfumature più sottili della condizione umana. Non è stato solo un giornalista puntuale e attento, ma una persona che ha vissuto il giornalismo come una missione: dare voce alle sue passioni e, soprattutto, a chi non ne aveva. Nazza nei suoi ultimi giorni, attraverso la Campagna ANDOM, ci ha lasciato una testimonianza e un testimone: nei suoi momenti più difficili ha trovato la forza e l’ispirazione per lanciare un messaggio di speranza e continuità con lo slogan ANDOM, insieme a lui andiamo avanti, anche se ci mancherai.

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