San Carlo: cotechino, calorie per l’anima
Quando si parla di cucina, non c’è teoria senza poi la pratica. Hai voglia a insegnare come si insaccano i salumi, di ogni tipo, di qualsiasi genere e forma, di qualsivoglia consistenza. Se dopo la spiegazione non offri almeno una fetta (meglio, un bel piatto) delle prelibatezze disquisite, i succhi gastrici si ribellano e l’acquolina rischia l’esondazione. Il prodotto per eccellenza, a San Carlo è il cotechino. Non ci si scappa: purè o lenticchie, a secco, come si vuole. Il contorno faccia il contorno, che il re della portata resterà il cotechino. C’è un motivo per ogni papilla gustativa valido a giustificare l’assaggio. E ci sono tre ragioni essenziali per le quali il cotechino si sposa alla fiera di San Carlo e a Casalmaggiore. Primo: è un prodotto della terra che, nato povero, si è fatto ricco. Tipico di Natale, dei cenoni, atto a scaldare l’inverno sin nelle viscere – quelle, beate, di chi lo assaggia – nel casalasco si anticipa a novembre. Serve a dissipare le prime brume, serve a ritrovarsi, magari con un buon bicchiere di vino davanti, a primeggiare su eventuali ospiti. A dire loro, questa è la nostra specialità, e il resto sono solo parole. Il suino, re della nostra campagna, rimanda ai paesaggi descritti da Olmi, che per qualcuno sono ormai sorpassati, salvo poi ricordarsi di ritornare, in tempo di crisi, alla terra, unica certezza economica anche per chi ha fatto la guerra. Il cotechino, insomma, è una forma di educazione sociale nell’era del sushi, del cinese, della tavola calda
globale. Secondo: questo prodotto è tipicamente nostro. Non è quindi nato nella terra in senso lato, ma nella nostra terra. Dove con nostra si intendono tutti i territori di confine, dove con nostra, guardando alla ricetta specifica, si intende per una volta l’esaltazione della casa- lesità nuda e cruda, anzi cotta, ché altrimenti il gusto si perde. Siamo contadini e allevatori, diamine, e lo siamo nello spirito: dietro alle cravatte, alle giacche, ai tatuaggi, ai ceroni, alle maschere da mestiere moderno batte un cuore antico. Il cotechino viene irrorato dalle vene del nostro passato. Un po’ di campanilismo non ha mai fatto male a nessuno. Se servito in tavola con l’abbinamento giusto, è anzi un motivo di stima e di eccellenza. Terzo: il periodo è quello giu- sto. Toccateci tutti, ma non la fiera di San Carlo. L’abbinata novembre-cotechino è perfezione assoluta, mix approvato anche dai puristi. Della nebbia abbiamo detto, del freddo pure. E se così non fosse, che gusto, che senso, avrebbe un pasto così calorico? C’è bisogno di calorie nel corpo come nell’anima, anche per sentirsi un po’ meno colpevoli, se si esagera con una fetta (o due) in più. A novembre, no, esagerare non è un delitto. E’ quasi un dovere. E allora sotto a chi tocca. Ci sarebbe poi un ulteriore motivo: i blisgòn. Cotechino e blisgòn, anzi prima gli altri poi l’uno. Anche qui alzi la mano chi intende contrastare un menù così composto. Ma prima di farsi avanti, sappia che dovrà scontrarsi con un esercito di buongustai. Modellato dalla tradizione più verace. E guidato da una fame atavica.
Giovanni Gardani