Don Marco Tizzi, il Cimon e lo spirito della montagna
“El Zimon è talmente massiccio e ampio, che c’è di tutto: placche, fessure, pilastri, camini, roccia compatta, friabile… il Cimone è un mondo. È anche un libro aperto, senza più segreti, che conserva tutto il proprio fascino” (Renzo Corona, Guida Alpina)
Quest’anno si celebra il centocinquantesimo anniversario della prima scalata al Cimon della Pala (3.186 mt), la vetta più nota e scenografica, anche se non la più alta, del gruppo dolomitico delle Pale di San Martino. La batte di soli sei metri la vicina Cima Vezzana (3.192 mt) ma il fascino che esercita il “Cimone”, da moltissimi ricordato come il Cervino delle Dolomiti per il profilo della montagna vista dal Passo Rolle che in effetti ricorda vagamente il Matterhorn, è decisamente impareggiabile.
Questa suggestiva cima è particolarmente importante per i casalaschi. Tanti sono stati, infatti, i concittadini che, nel corso degli anni, hanno scalato il Cimon della Pala. Fra i primi mio nonno, il Dott. Eugenio Benecchi che, dopo un tentativo fallito nel 1933, successivamente lo conquistò per la via normale insieme alle Aquile di San Martino, le mitiche guide alpine che accompagnano turisti e scalatori da oltre un secolo sulle pareti strapiombanti del Primiero e non solo.
La tradizione alpinistica di Casalmaggiore è proseguita nel tempo fino ad arrivare agli anni ottanta, periodo assai fecondo nel quale l’allora vicario della Parrocchia di Santo Stefano, Don Marco Tizzi ha raggiunto più volte la sommità, accompagnato da vari amici e parrocchiani.
Don Marco, che ringrazio di cuore per il materiale e le preziose informazioni (ma soprattutto per essere il principale “colpevole” della mia passione per l’alpinismo), è un vero appassionato di montagna. Lui il Cimon della Pala lo ha scalato nel 1982 per la prima volta insieme al concittadino Luca Storti ed alla guida alpina Giampaolo Depaoli. Tre anni dopo è ritornato in vetta insieme a Fausto Maffei, sempre accompagnato da Depaoli, portando in cima la statua della Madonnina dell’Oratorio Maffei di Casalmaggiore, statua che si trova là tutt’ora, come mi è stato confermato di recente dalle “Aquile” Renzo Boschetto e Mariano Lott.
L’esperienza di Don Marco sul “Zimon” non si è conclusa lì, infatti in occasione del venticinquesimo di sacerdozio, ha celebrato messa al bivacco Fiamme Gialle dopo aver conquistato per la terza volta la cima salendo con tre cordate guidate da Giampaolo Depaoli, Davide Depaoli e Giacomo Corona e portando con sé i casalaschi Luciano Morselli, Enzo Piazza, Gianfranco Rivieri, Luigi Ferrarini e Simona Vasallucci di Roma.
In occasione di quest’ultima salita e della speciale ricorrenza per la quale è stata intrapresa, a sorpresa, Don Marco si è visto insignire di un riconoscimento importantissimo e più unico che raro ovvero il titolo di Guida Alpina ad honorem e quindi membro onorario delle “Aquile di San Martino” proprio per i suoi lustri di attività come accompagnatore e animatore spirituale di centinaia di giovani (casalaschi e di Belforte) che nel corso del tempo, proprio con lui si sono avvicinate alla montagna ed all’alpinismo presso la Baita Don Bosco in Val Canali.
“Avvicinarsi alla montagna con rispetto ed umiltà” la ricetta del Don, secondo cui “amministratori e guide devono aiutarci ad amarla soprattutto come Maestra di Vita”. La statuetta della Madonna dell’Oratorio di Casalmaggiore è stata poi da lui portata anche sulla vetta di altre montagne del gruppo altrettanto significative: la cima Vezzana, il Sass Maor e la Cima Madonna, ma questa è un’altra storia che avremo tempo e modo di raccontare.
Il Cimone è una montagna importante anche per il sottoscritto: sulle sue pareti ci sono stato varie volte con le Aquile (considerando anche alcuni tentativi andati a vuoto per il maltempo) e mi piace pensare ormai di conoscere quasi alla perfezione ogni singolo centimetro di quelle rocce, quasi come fosse una seconda casa. Non si tratta di una scalata particolarmente difficile sulla via normale (di vie comunque ce ne sono diverse, per tutti i gusti e per tutte le difficoltà), ma siamo sicuramente tutti concordi nell’affermare che esiste una sorta di magia fra quegli strapiombi, un legame fatato che avviluppa gli alpinisti e li porta ad amare intensamente il Cimon della Pala ed a ritornarci quanto più spesso possibile, nonostante sia stato ormai studiato ripetutamente in ogni angolo.
I primi ad ammirare dal vivo le Pale di San Martino furono due viaggiatori inglesi, J. Gilbert e G. Cheetam Churchill, che in una locanda videro un quadro raffigurante il Cimon della Pala. Correva l’anno 1862 e ne rimasero talmente affascinati che vollero vederlo dal vivo, recandosi sul posto e dando così il via alla fruizione turistica della località di San Martino di Castrozza con la visita di numerosi stranieri, in larga parte inglesi.
Siamo nel Primiero, splendida vallata a cavallo tra Veneto e Trentino, nella parte orientale, a due passi dall’Agordino e dal Parco delle Dolomiti Bellunesi, sede del meraviglioso Parco Naturale di Paneveggio – Pale di San Martino arcinoto ai cremonesi per il prezioso legno di abete rosso utilizzato nella liuteria fin dai tempi di Stradivari. Il Cimon della Pala si erge sovrastando l’abitato di San Martino e lambendo il Passo Rolle che scende verso la Val di Fiemme (Bellamonte e Predazzo). Tra esso e la vicina Vezzana si trova il ripido ghiacciaio del Travignolo che genera l’omonimo torrente, affluente dell’Avisio. Sotto le pendici delle Pale, in particolare Cimone e Vezzana, si trova poi la splendida Val Venegia, un autentico palcoscenico naturale, scendendo lungo il quale è possibile giungere all’attacco di varie salite impegnative nel gruppo (Mulaz, Focobon, Bureloni eccetera) e di tracciati ricompresi nel Palaronda Trek, un giro ad anello che in alcuni giorni permette di attraversare le Pale percorrendo sentieri attrezzati e vie ferrate con punti di sosta in rifugi e bivacchi, senza scendere quasi mai sotto i 2500 metri.
Il Cimon della Pala, ritratto quest’anno nel bollino del Club Alpino Italiano, fu conquistato per la prima volta il 3 Giugno 1870, versante nord, dagli alpinisti inglesi Tuckett e Whitwell, accompagnati da Santo Siorpaes, guida alpina di Cortina d’Ampezzo e dallo svizzero Christian Lauener, anch’egli guida alpina.
La via normale che si percorre ancora attualmente, invece, fu aperta da Ludwig Darmstadter, Luigi Bernard e Johan Niederwieser che vi riuscirono dopo due tentativi falliti anche dal primo salitore Tuckett. Nel 1893 ad essere vinto fu lo spigolo nord-ovest, scalato da Gilberto Melzi e Giuseppe Zecchini (una delle primissime guide alpine locali insieme a Michele Bettega, Antonio Tavernaro e Bortolo Zagonel) che aggirando tratti di strapiombo riuscirono a ricollegarsi alla via del 1870. Nel 1905 fu la volta della parete sud-ovest in cui Georg Leuchs in solitaria risolse tutti i problemi e riuscì a giungere in vetta.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, furono aperte nuove vie sulla parete sud-ovest di difficoltà maggiore fino al sesto grado. Tantissimi furono gli approcci al Cimon della Pala e nel corso degli anni tanti alpinisti si cimentarono con questo gigante. Nel 1950 Gabriele Franceschini, cui si deve la redazione di almeno cinque guide dedicate alle Pale (e che fu tra le altre cose anche accompagnatore privilegiato di Dino Buzzati, scrittore alpinista ispiratosi al paesaggio lunare delle Pale per il suo “Deserto dei Tartari”) aprì una direttissima al centro della parete sud-ovest a fianco della via Leuchs, aumentando così ulteriormente la difficoltà di salita.
La più ardita via aperta però resta “El Marubio” realizzata da Manolo nel 1995 sul settore sinistro della parete con difficoltà continue gradate 7c. Il 3 Giugno 2020 la Guida Alpina Mariano Lott, gestore del Rifugio Pedrotti situato sull’altopiano delle Pale, ha ripetuto la salita, insieme alla moglie Roberta Secco, proprio per onorare il ricordo dei pionieri che un secolo e mezzo fa, hanno dato il via all’esplorazione alpinistica vera e propria della zona.
Oggi la salita normale al Cimone è percorribile principalmente tramite la via ferrata Bolver-Lugli, lunga ed impegnativa (realizzata nel 1970 dalle guide alpine di San Martino per celebrare il centenario della conquista della vetta) e successivamente su un breve percorso di arrampicata (tecnicamente abbastanza semplice ma su cui bisogna prestare attenzione ed essere adeguatamente attrezzati) che porta fino alla sommità.
In alternativa la variante per la vetta può essere raggiunta tramite un lungo sentiero che parte dal Rifugio Pedrotti, supera il Passo Bettega e porta in quota risalendo la Val dei Cantoni fino al bivacco Fiamme Gialle (punto di arrivo della ferrata) a quota tremila da cui poi si può poi raggiungere l’ultima parete attraversando tra l’altro anche un breve cunicolo roccioso detto “bus del gat” attraverso il quale occorre far passare prima l’attrezzatura altrimenti non si riesce ad uscirne.
Vi ho riportato una descrizione sommaria ovviamente per brevità, ma se cercate informazioni dettagliate, potete partire dal sito aquilemagazine.it diretto da Manuela Crepaz che ringrazio (insieme alle Guide Alpine di San Martino) per l’aiuto nella stesura di questo pezzo.
Sul sito trovate una serie di articoli culturali interessantissimi dedicati alle Pale e tanto materiale di approfondimento sul Cimone, fra cui la bella intervista a Renzo Corona dalla quale ho estrapolato la frase di apertura. Per chi cerca informazioni più tecniche, il web è pieno di valide relazioni sulle varie vie (ce ne sono una quindicina) oltre a diversi video che riprendono i passaggi chiave di molte salite.
Non resta che documentarsi, allenarsi, contattare le Aquile di San Martino e andare a vedere di persona insieme a loro quanto sia emozionante conquistarlo in totale sicurezza e provare ad essere anche voi rapiti dall’incanto di questo gigante.
Marco Vallari