Arrampicata: Patrick Berhault, il fuoriclasse
Lo troviamo nelle gole del Verdon intento ad osservare accuratamente i movimenti di Manolo mentre scopre Pichenibule (7b+), una delle vie più note del sito, liberata proprio da Patrick. Parliamo di Berhault, fuoriclasse francese originario della Costa Azzurra fra il Principato di Monaco e Mentone. Unico alpinista che partì… dal mare!
Fin da piccolo infatti (nacque nel 1957) si dedicò al mondo sottomarino praticando immersioni in apnea. Nel 1971 un amico lo convinse a salire con lui il monte Gelàs sulle Alpi Marittime (3.143 m) al confine italo-francese e fu in quella precisa occasione che Patrick maturò la convinzione di dover ricercare un approccio differente verso la natura, aspirando alle cime anziché ai fondali marini. Divenne subito una vera e propria macchina da scalata e fu tra i fautori del cosiddetto “rinnovamento dell’arrampicata” sviluppatosi tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta. Effettuò molteplici ripetizioni di vie classiche, in solitaria ed in velocità.
Si dedicò fin da subito all’esplorazione ed all’himalaismo partendo con una spedizione al Nanga Parbat, tentativo che però fallì a causa di un malore di Berhault appena raggiunta quota settemila. Verso la metà degli anni ottanta, inaspettatamente, prende casa in campagna nella parte centrale della Francia, molto distante dalle sue montagne e dalle falesie. Vi si trasferisce con la compagna ed i figli con l’intenzione di vivere in perfetta simbiosi con la natura.
Fu una scelta naturale per lui che praticando l’alpinismo era molto rispettoso dell’etica della montagna fino a rinunciare a qualunque mezzo artificiale nella progressione, compresa la corda. Nel periodo “bucolico” diventa maestro di una scuola di alpinismo per i ragazzi del paese e si dedica ad accompagnare in escursione i disabili (nel 1992 permette a cinque persone non vedenti di scalare il Kilimanjaro, 5895 mt). Non lasciò mai del tutto l’alpinismo da praticante e dopo aver conquistato il suo primo ottomila (Shisha Pangma 8027 mt) nel 1988, nel 1990 ottenne il brevetto di Guida Alpina e divenne anche istruttore della Scuola nazionale francese di Sci e Alpinismo, occupandosi della formazione delle aspiranti Guide.
Nel 1991 Patrick completò la traversata completa del Monte Bianco concatenando numerosi e diversi itinerari di grande difficoltà. All’inizio del terzo millennio entrò definitivamente nella storia dell’Alpinismo mondiale con una serie di imprese incredibili. La più famosa si svolse ininterrottamente dall’agosto del 2000 al gennaio del 2001 quando, insieme a Patrick Edlinger e Philippe Magnin concatenò ben ventidue ascensioni di notevole difficoltà compiendo una vera e propria traversata delle Alpi con partenza dalle Alpi Giulie fino ad arrivare a Mentone senza utilizzare mezzi a motore ma andando a piedi, in bicicletta o sugli sci.
Durante la traversata effettuarono fra le altre, la salita alle Grandes Jorasses, la parete Nord del Cervino e la famigerata parete Nord dell’Eiger. Soprannominato BeRobocop per le sue indubbie qualità di scalatore, nel febbraio 2003, con Philippe Magnin, effettuò un nuovo concatenamento sul Monte Bianco in cui, partendo dal versante italiano, intraprese con successo le otto più belle vie di ghiaccio e misto del massiccio.
Dopo varie spedizioni sul tetto del mondo, sempre nel 2003 riuscì a conquistare l’Everest (8848 mt) a cinquant’anni esatti dalla prima ascensione effettuata da Sir Edmund Hillary insieme all’alpinista nepalese Tenzing Norgay. Mai domo, Berhault si lanciò nel 2004 in un’ennesima impresa che prevedeva un nuovo estremo tentativo di concatenamento: ottantadue vette alpine superiori ai quattromila metri in due mesi.
A fine aprile, mentre si trovava sul Täschhorn (4491 mt) nella Alpi svizzere del Canton Vallese, il distacco di una cornice nevosa, in un tratto apparentemente privo di difficoltà, lo fece precipitare provocandone la morte a soli quarantasette anni. Patrick era notissimo per la sua prudenza e la sua fine provocò vastissimo cordoglio fra i colleghi della scuola di alpinismo ed in particolare nell’inseparabile compagno di scalate Patrick Edlinger che di lui disse: “Era quel tipo di persona che ha una certa aura, una forza interiore che ti fa stare bene. Questo è molto importante e molto raro nella vita”.
Per approfondire la conoscenza di questo straordinario uomo delle montagne ci sono un paio di interessanti documentari in lingua francese: “Sur le fil des 4000” di Gilles Chappaz che descrive il concatenamento dei sessantaquattro 4000 conquistati da Berhault nel 2004 e “La cordée de rêve”, un diario-documentario della traversata delle Alpi del 2000. In libreria invece vari resoconti delle sue imprese di cui segnalo in particolare l’autobiografico “Legato ma libero” (Vivalda Editori 2002, collana I Licheni ISBN 9788878081574) o il volume “Berhault” a firma di Michel Bricola e Dominique Potard sempre per Vivalda Editori (2009 collana I Licheni ISBN 9788874801367).
Marco Vallari